A proposito di CODA

Essere CODA: intervista a Gino Pracchia

Gino Pracchia essere coda

Intervista a Gino Pracchia di Michele Peretti – 13/02/2021
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.

Gino Pracchia è nato a Teramo nel 1962 ed è residente a Grottammare (AP). Dal 1988 è iscritto all’Associazione Anios di cui è stato Presidente Nazionale dal 1989 al 1997 e Consigliere Nazionale dal 1997 al 2006. Ha ottenuto il riconoscimento come interprete LIS (Operatore Tecnico Mimico Gestuale) dalla Regione Marche nel 1987, quando ancora non si parlava di Lingua dei Segni bensì di Linguaggio Mimico Gestuale. Dal mese di Settembre 1989 ad oggi lavora come interprete LIS professionista presso gli Enti Locali della Provincia di Macerata, inizialmente con incarichi annuali diretti e negli anni successivi attraverso incarichi annuali indiretti. Dal 1994 al 1998 ha lavorato presso le Scuole Superiori della Provincia di Macerata come Interprete LIS Scolastico e successivamente come Assistente all’Autonomia e alla Comunicazione. Dal 1990 al 1996 ha ricoperto il ruolo di Segretario Provinciale dell’Ente Nazionale Sordi Sezione di Macerata dopo tre anni di affiancamento al precedente Segretario. Nel 2001 Progettista e Coordinatore del Corso FSE per Assistente alla Comunicazione per Sordi organizzato dalla Provincia di Macerata. Nel 2002 Progettista e Coordinatore del Corso FSE per Assistente alla Comunicazione per Sordi organizzato dalla Provincia di Ascoli Piceno. Nel 2004 Progettista e Coordinatore del Corso FSE per Assistente alla Comunicazione per Sordi organizzato dalla Provincia di Teramo. Dal 2018 è Segretario Regionale del Consiglio ENS Marche.

1) Cosa significa per te essere CODA?
Per l’esperienza di vita che ho avuto oggi posso dire di essere orgoglioso dei miei genitori sordi che con semplicità, affetto e sacrifici, hanno saputo dare, a me e mia sorella, insegnamenti sani. Sono cresciuto in un periodo storico e sociale in cui si avevano poche conoscenze sulla disabilità. Quello che ricordo sin da piccolo è la sensazione dello sguardo delle persone fisso su di me, mentre parlavo con i miei genitori quando mi trovavo con loro in luoghi pubblici. In quei momenti avvertivo che la mia vita era diversa dai miei coetanei. Mi sono tenuto dentro per tantissimi anni momenti di vita come rispondere al telefono, tradurre a mio padre il telegiornale delle 20 o fare da ponte comunicativo ai miei genitori per incontri importanti in cui era necessario che loro capissero ciò che veniva detto. I miei amici mi ascoltavano, ma rimanevano basiti perché non sapevano cosa dirmi tanto era estraneo per loro il mio vissuto. La prima volta in cui mi sono sentito a mio agio è stato, nei primi incontri organizzati a Perugia dalla Dott.ssa Elena Radutzky della Mason Perkins Fund, con figli di Sordi che avevano iniziato ad approcciarsi alla Lingua dei Segni (primi Interpreti LIS in Italia). Queste esperienze mi hanno lasciato una sana leggerezza che in precedenza non avevo mai sperimentato. Con loro potevo condividere il mio vissuto e non solo. Sentivo che c’era accoglienza e soprattutto comprensione. Non ero l’unico al mondo. Mi sono sentito parte di un tutto e mi invadeva un senso di gratitudine, perché comprendevo che le esperienze di vita che fino a quel momento erano state un peso, potevano trasformarsi in ricchezza feconda per la mia vita futura.
Essere CODA per me è innanzitutto un modo di essere, di esserci al mondo, un modo di pensare oltre. È una particolare inclinazione ad accogliere la vita nelle sue infinite forme espressive, comunicative e non solo.

2) Come e quando sei stato esposto all’italiano?
Direi da quando i miei genitori mi hanno portato all’asilo. Mi sono trasferito a Macerata con la mia famiglia all’età di due anni, senza una rete parentale, perché mio padre fu assunto come Tipografo dal Ministero della Difesa presso l’Aeronautica Militare di Macerata. Lui era di Livorno e si trasferì a Teramo per amore di mia madre. Ero primogenito e non avendo vicini nonni, zii e cugini, ero esposto soltanto alla lingua dei segni. Inoltre la mia casa era frequentata solo da persone sorde, amici dei miei genitori. Nonostante ciò non ho avuto problemi nell’acquisire la Lingua Italiana nelle relazioni a scuola o con i miei compagni di gioco.

3) A scuola o in altri contesti ti sei mai sentito diverso dagli altri?
Sicuramente sì, perché oltre a percepire di avere una diversa sensibilità, il mio istinto mi diceva che avevo opportunità diverse rispetto ai miei compagni. Accompagnavo sempre i miei genitori ai colloqui scolastici e traducevo tutto quello che dicevano gli insegnanti. Questo mi dava la sensazione che, aver permesso ai miei insegnanti di vivere questa esperienza, poteva essere un grande vantaggio per me. Non sono mai stato un grande studioso, era sufficiente ascoltare le spiegazioni degli insegnanti per poter affrontare un’interrogazione. Avevo qualche problema in italiano scritto ma, con degli accorgimenti e degli escamotage, riuscivo a cavarmela. Ricordo che per la maturità scelsi di portare come materia orale Diritto. Il libro a fine anno scolastico era intonso, ancora incellofanato. Studiai in quindici giorni e, dopo aver risposto a 3 o 4 domande correttamente, per rispondere all’ultima domanda feci affidamento sulla mia memoria visiva. Ricordai a mente il paragrafo, mi comparve dinanzi agli occhi la nota a pie di pagina, la lessi mentalmente, risposi e l’esame era salvo. Perché racconto questo? Perché oggi sono conscio che il mio modo di processare, di pensare, di fronteggiare le situazioni mi veniva perché abitavo la sordità. Una parte di me era sorda nel modo di funzionare, avevo un valore aggiunto rispetto ai miei compagni, eppure non mi sentivo né un genio né avevo voglia di studiare: ero figlio di sordi, questa era l’unica differenza. Negli altri contesti non ho mai avuto problemi con la sordità dei miei genitori. Certo, non posso negarlo, tante volte mi sono sentito domandare: “ma come è stato essere figlio di sordi?”, “come hai fatto?”, ma erano domande che non mi turbavano, tanto quanto il dover essere le orecchie dei miei genitori in tutte quelle situazioni di vita più grandi di me.

4) Quali valori ti hanno trasmesso i tuoi genitori?
I miei genitori mi hanno insegnato il rispetto delle regole, delle altre persone, l’importanza dell’educazione e di aver cura della mia persona.

5) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e Italiano)?
È una grande ricchezza. È come vivere due esperienze diverse, sviluppare una certa sensibilità verso l’altro e la sofferenza. Ne sono la prova alcune mie esperienze di vita:
– ho avuto come compagno di banco sia alle medie che alle superiori un ragazzo affetto da spasticità;
– una vita sociale vissuta come se stessi continuamente alla ricerca del meglio che la vita potesse offrire (ciò ha influito fortemente sul mio percorso professionale).
Tutto ciò è stato possibile perché i miei genitori si fidavano molto di me e questo mi ha dato sempre molte certezze. I miei genitori sordi tagliati fuori dal mondo non si preoccupavano quanto tempo passassi fuori casa, breve o lungo che fosse. Sin da piccolo ho vissuto molto anche il mondo dei sordi perché i miei genitori mi portavano spesso nei circoli ENS. Questa frequentazione non mi pesava, anzi! Mi divertivo molto a “giocare con le mani” degli amici sordi che si relazionavano con me.

6) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con i lettori?
Ce ne sarebbero diversi ma mi piace ricordarne due in particolare.
Il primo appartiene alla mia fanciullezza: da piccolo, quasi tutte le sere traducevo il telegiornale a mio padre. Lui con me fece un patto: in cambio del servizio di traduzione mi avrebbe raccontato una storia prima di addormentarmi e chiaramente in LIS. Ricordo esattamente la gioia che provavo quando mi diceva che ero stato bravo perché aveva capito le notizie del telegiornale da me tradotte e quella piacevole attesa quando lui veniva a raccontarmi una storia, soprattutto quelle popolate da buoni e cattivi.
L’altro episodio appartiene agli anni dell’adolescenza: un giorno andai sul posto di lavoro di mio padre e non lo trovai in Tipografia. I colleghi mi dissero che a quell’ora mio padre era solito andare al bar per fare colazione e leggere il giornale. Appresi che lo faceva tutti i giorni, ma la notizia che più mi commosse fu il racconto di mio padre ai colleghi. La sosta al bar, confidò loro, rivelava una grande passione: quella di leggere le notizie del giorno. Una passione nata e alimentata in lui dalle mie traduzioni serali quotidiane. Le mie piccole mani, nell’atto di tradurre, connettevano mio padre alla realtà donandogli un senso di appartenenza, di inclusione a un mondo orale al quale non avrebbe avuto modo di approdare. Le parole da me ascoltate e trasformate in segni per lui, gli erano necessarie come l’aria che respirava. Quel giorno ne fui pienamente consapevole.

7) Diventare interprete LIS: scelta o senso del dovere?
Direi più un’opportunità, almeno inizialmente. Dopo la mia prima esperienza lavorativa nel settore dell’abbigliamento, accolsi l’invito di frequentare il secondo corso organizzato dalla Regione Marche per Operatore tecnico Interprete Mimico Gestuale.
Di lì a poco invece incominciai ad appassionarmi. Frequentando il corso capivo che stavo mettendo i primi semi di consapevolezza verso tutto ciò che avevo vissuto. Questo mi affascinava, inoltre l’incontro con persone, sorde e udenti, che investivano il loro tempo nello studio della sordità, mi incuriosiva e allo stesso tempo mi restituivano in consapevolezza una parte della mia vita. Aver avuto poi l’opportunità di essere l’interprete personale di Renato Pigliacampo, a livello locale, mi ha permesso di entrare in stretto contatto con il mondo delle istituzioni, della politica locale e con diverse realtà nazionali che si occupavano di sordità.
Sentii che anche io potevo apportare il mio contributo in questo mondo e tutto quello che faccio oggi lo faccio con passione. Ergo non senso del dovere bensì scelta per passione.

8) Quale percorso formativo hai intrapreso per diventare Interprete LIS?
Il mio percorso formativo, come accennato sopra, è stato un corso biennale fatto presso la Regione Marche, che mi ha permesso di conseguire l’attestato che mi ha dato poi l’opportunità di iniziare a lavorare con i Comuni, in qualità di professionista. La mia formazione è poi proseguita con la partecipazione a seminari, workshop e convegni organizzati sul territorio nazionale, con la frequenza a corsi di standardizzazione e aggiornamento fatti all’interno di Anios.

9) Come definiresti la tua esperienza di Presidente Anios?
La mia esperienza di Presidenza ANIOS inizia nel 1989 quando ancora l’Associazione era presente solo nella Regione Marche. In questo periodo, oltre a espletare le disposizioni regolamentari e statutarie, nonché qualche iniziativa per incominciare a diffondere la conoscenza sulla nostra figura, si è data importanza e priorità a curare una serie di incontri con i funzionari della Regione Marche dell’Area servizi Sociali affinché contribuissero a realizzare un documento da inviare ai Comuni e alle Comunità Montane di tutte la Regione dove si chiarisse il ruolo dell’interprete LIS in ambito sociale.
Riuscimmo a definire tale documento e fu emessa la Nota Esplicativa n. Prot. 5689/H5 del 17/11/89 a integrazione della ex Legge 18/82 molto utile ai servizi già attivati nella Regione che erano due: uno nel Comune di Pesaro e l’altro nel Comune di Ancona. Nel giro di breve tempo si attivarono diversi sportelli di “Servizio di Interpretariato”. Occupai molto del mio tempo nel recarmi personalmente presso gli altri Comuni con i Presidenti delle Sezioni ENS locali. All’epoca era necessario non solo informare su chi fosse l’interprete LIS ma anche e soprattutto dare rilievo all’importanza sociale/conunicativa che esso rivestiva per la comunità sorda.
Nel frattempo, nel corso di un seminario organizzato dalla Mason Perkins Fund a Perugia, le altre Interpreti, in particolar modo quelle di Roma, mi chiesero se c’era la disponibilità e l’interesse di ANIOS a diventare un’Associazione a carattere nazionale. Di lì a poco ciò avvenne per volontà unanime dei Soci Anios Marche. Iniziò così un lungo e impegnativo periodo di riunioni, incontri politici, incontri istituzionali ed eventi.
Ci sarebbe molto da raccontare, tuttavia mi soffermo su due snodi fondamentali. Il primo fu senza dubbio il mio incarico di presidente. Un periodo caratterizzato da una fase di riflessione sul tempo che stavamo vivendo come professionisti e che necessitava di una serie di azioni quali:
– dare priorità a una discussione/riflessione di come potevamo contribuire a far conoscere la nostra figura e soprattutto far capire che eravamo dei professionisti a cui le persone sorde e le istituzioni si dovevano rivolgere e trattarci come tali. Vivevamo un tempo in cui la cultura assistenzialista era prevalente e il termine professionista nel sociale faceva difficoltà a trovare diritto di cittadinanza. La Legge Quadro 104/92 all’art. 9 ci dava un primo riconoscimento ufficiale a livello nazionale, ma la terminologia usata (condizionata molto dal pensiero medico) e i contesti lavorativi (come condizione di aiuto anziché come condizione di indipendenza) erano ancora molto indietro rispetto a una visione della relazione di aiuto come promozione umana;
– curare i rapporti delicati tra associazioni che si occupavano di sordità;
– informare una società che ancora non sapeva chi fossimo;
– far capire l’importanza del nostro ruolo per la comunità sorda;
– diffondere la conoscenza della LIS, una lingua a tutti gli effetti (nella stessa comunità sorda non c’era ancora piena consapevolezza linguistica).
Il secondo, sul piano associativo, contribuire a diffondere una cultura che tenesse conto di tutti i contributi, anche dell’ultimo associato. Tutti in egual misura portavano il proprio apporto nel contesto associativo come il nostro. Questo ha permesso che non si creasse nel tempo un luogo di potentati o correnti interne, bensì un luogo di confronto di idee tra professionisti. Questo spirito ha favorito e sostenuto una sana rotazione dei Dirigenti costituendo l’humus vitale di ANIOS.

10) Qual è il tuo motto?
“Faccio Voto di Vastità e creo Frequenze.” (Alessandro Bergonzoni)

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