A proposito di CODA

Essere CODA: intervista ad Antonietta Bertone

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Intervista ad Antonietta Bertone di Michele Peretti – 15/08/2020
Coda (Children of deaf adults) è un acronimo internazionale nato negli Stati Uniti nel 1983 e scelto per indicare i figli udenti di genitori sordi.

Antonietta Bertone, prima di tre figli, è nata a Salerno da genitori sordi. Mamma Rosetta ricamatrice e parrucchiera mentre papà Vincenzo sempre in prima linea per la tutela e la promozione dei sordi in ambito educativo, lavorativo, sociale e sportivo. Antonietta inizia a lavorare come interprete LIS nel 1983. Dopo la laurea in lingue straniere e aver vinto il concorso ordinario, dal 1997 è anche insegnante di lingua spagnola nella scuola secondaria. È stata vicepresidente di Anios e nel 2011 è stata responsabile organizzativa di “Efsli 2011”, conferenza europea di interpreti di lingua dei segni tenutasi a Salerno. In passato ha lavorato a lungo come interprete LIS nell’ambito del Giffoni Film Festival accanto alla rappresentanza di giurati sordi. Dal 1995 è interprete LIS per Rai TV.

1) Cosa significa per te essere CODA?
In premessa dico che mi piace di più dire “figlia/o di sordi”. Significa aver conosciuto qualche limitazione, essere più forte e avere una marcia in più.

2) Come e quando sei stata esposta all’italiano?
Dalla nascita. Attraverso nonni, parenti e amici di famiglia.

3) Quali sono i primi segni che hai imparato?
Non posso, naturalmente, ricordare. Dai racconti di mia madre posso dire che verso gli otto mesi già segnavo PAPÀ e piccolissime frasi associando due o tre segni. Tuttavia, ricordo perfettamente di quando, in seguito, un’amica di mia madre mi “insegnava” singoli segni: io seduta sul tavolo della cucina e lei di fronte a me. Era un gioco.

4) Diventare interprete LIS: scelta o senso del dovere?
Scelta, fatta molto consapevolmente. Come molti della mia generazione ho iniziato da piccolissima, trascinata dalle situazioni, avendo un padre molto attivo e coinvolto nelle associazioni dei sordi. Scarsa era tuttavia la consapevolezza, sia per ragioni di età sia perché non si pensava all’interprete LIS come a una professione. Infatti io continuavo a seguire il mio percorso di studi universitari. In seguito, a metà degli anni ’80, in maniera più diffusa si è cominciato a parlare della Lingua dei Segni e della figura professionale. Due cose fecero cambiare la mia prospettiva: nel 1993 fui convocata a Roma per una selezione di interpreti LIS poiché alla Camera dei Deputati era stato eletto Stefano Bottini, primo e, ad oggi, unico deputato sordo in Italia. Non vi partecipai perché in quello stesso giorno dovevo discutere la mia tesi di laurea. L’anno successivo accettai l’incarico di interprete LIS dal Comune di Salerno perché era stato eletto Angelo Santoro quale Consigliere comunale.

5) Quale percorso formativo hai intrapreso per diventare interprete LIS?
Ho studiato presso il Silis di Roma. Ho progressivamente implementato la mia formazione partecipando ai seminari intensivi mirati alla formazione degli interpreti organizzati da Mason Perkins, all’epoca diretta da Elena Radutzky, con docenti statunitensi: Nancy Frishberg, Dennis Cokely, Anna Witter-Merithew, Sharon Newmann Solow e altri. Contestualmente prendevo parte a tutti gli eventi formativi organizzati dall’associazione di categoria Anios che, da questo punto di vista, è molto attiva. Fra i formatori posso citare Fulvia Carli, Maria Luisa Franchi, Marco Nardi, Claudia Castelli, Annamaria Peruzzi. In ogni caso mi ritengo in formazione permanente e ciò indipendentemente dal vincolo dei crediti che i professionisti sono tenuti a maturare periodicamente. In realtà, la formazione è alimentata dal lavoro sul campo, nel senso che fra attività lavorativa e riflessione teorica e/o metodologica c’è molta sinergia secondo un interscambio continuo. Altro punto di riferimento è mia sorella Carmela che è una linguista, lavora presso Ca’ Foscari ed è stata l’autrice della prima grammatica della LIS.

6) Cosa apprezzi della cultura sorda e cosa invece ti piace meno?
Una cultura è, esiste, e la si accetta. Essa si è strutturata nel tempo e nelle forme date per molteplici ragioni. L’apprezzamento implica una forma di giudizio che non ho. Il giudizio è riferito semmai alle singole persone che incarnano una o altra specificità comportamentale. Giusto oggi ho visto il documentario realizzato nell’ambito del progetto di ricerca SIGN-HUB Italia (https://www.youtube.com/watch?v=1vBGw2S6ETg) e ho avuto modo di riflettere, ancora una volta, sul coraggio, sul senso di appartenenza e sul “pionerismo” delle persone sorde che hanno vissuto nel corso di questi ultimi cento anni. Forse, ritornando alla domanda, ho ereditato il senso del coraggio dai miei genitori e dalle persone sorde. Ho sempre in mente un’anziana amica di famiglia, quando racconta come nella vita fra mille difficoltà e paure, derivanti specificatamente dalla sua sordità, si è sempre detta: “dai, coraggio, avanti!”. Sono grata al mondo dei sordi di cui faccio parte perché ho avuto opportunità che altrimenti, forse, non avrei avuto. Mi è capitato di vivere esperienze umane intense ed esperienze professionali appaganti; l’unione di questi due sentimenti l’ho provata quando nel settembre del 2016, a Bruxelles presso il Parlamento Europeo, ho partecipato, in qualità di interprete, alla conferenza “Multilinguismo e parità dei diritti nell’Unione Europea: il ruolo delle lingue dei segni” promosso e organizzato dall’europarlamentare sorda Helga Stevens. Ho fatto parte del team di 145 interpreti, di lingue vocali e segnate, che ha curato, in simultanea, il passaggio linguistico dei contenuti dell’evento fra 32 lingue dei segni e 24 lingue vocali del continente europeo. Trovarsi nell’emiciclo, circondata da partecipanti sordi da tutta Europa, per operare su un tema molto sentito (ricordiamo che in Italia la Lingua dei Segni non è riconosciuta, per ora) è stata un’emozione più unica che rara.

7) Sulla base della tua esperienza quali sono i benefici di crescere in un contesto bilingue bimodale (LIS e italiano)?
Sono gli stessi benefici che hanno i bambini bilingue di lingue vocali. In più, ma non sono esperta e quindi non so se riconducibile al bilinguismo bimodale, mi riconosco uno spiccato senso visivo e so orientarmi molto bene spazialmente. Un simpatico beneficio, riconducibile non strettamente al bilinguismo bensì alla competenza nella LIS, è quello di poter comunicare a distanza agevolmente. Con i miei fratelli spesso comunichiamo, per esempio, dal quarto piano senza gridare, oppure sbrogliandoci da situazioni seccanti e ci divertiamo molto a spiazzare le persone che ci guardano.

8) C’è un episodio legato al tuo vissuto che vorresti condividere con noi?
Avevo 17 anni e un fidanzatino. Partii per la gita scolastica e mentre tutti i miei compagni, la sera, telefonavano ai genitori o parenti o fidanzati, io non feci nulla di tutto questo. Al mio ritorno, dopo tre giorni, il mio fidanzato si arrabbiò molto perché avevo, secondo il suo dire, mostrato disinteresse e allontanamento. In realtà essendo figlia di sordi, non avevo l’abitudine di telefonare per avvertire i miei genitori dei miei movimenti. (Si consideri che all’epoca non esistevano i cellulari piuttosto ci si muniva di molti gettoni per telefonare, inoltre anche se avessi telefonato a casa chi mi avrebbe risposto?). Voglio dire che quando uno di noi era fuori per più giorni non c’era quella preoccupazione di sapere dove fosse e cosa facesse. Per cui era fuori dal mio orizzonte mentale la telefonata per avvertire che stavo bene.

9) Come avviene la selezione degli interpreti che lavorano in Rai?
Attraverso una commissione formata da RAI, rappresentanti delle due associazioni di categoria che esistono in Italia, Anios e Animu e rappresentanti dell’ENS.

10) Com’è stato prendere parte alla prima edizione di Sanremo tradotta in LIS?
Divertente, molto stimolante e formativo. Era tutto nuovo: il setting, il tipo di lavoro, le modalità, le situazioni. Sono scaturite, nel confronto con i colleghi coinvolti, molte riflessioni che mi piacerebbe approfondire con altri colleghi e con le persone sorde più in generale. Come squadra eravamo proiettati verso la condivisione dell’esperienza in maniera più estesa, purtroppo gli eventi legati alla pandemia lo hanno impedito. Per ora.

11) Qual è il tuo motto?
Per ora.

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