La prossima settimana al teatro San Genesio di Roma ci sarà il debutto dello spettacolo “Luci del Buio”, diretto dal regista Dario Pasquarella, di cui io farò parte del cast sia come attore che come voce fuori scena.

Sono molto emozionato fin da ora perché avrò l’occasione di superare la mia paura di segnare davanti ad un pubblico e in più sono anche contento di mostrare il lavoro iniziato con Dario dal mese di maggio 2016.

Ci tengo a questo spettacolo perché fa parte del mio percorso con la lingua dei segni, iniziato fin da quando sono nato, essendo un CODA, figlio di genitori sordi. Posso raccontarvi il mio rapporto iniziale con loro usando questa immagine: sei sullo stipite di una porta e non vuoi entrare nella stanza ma solo osservare dall’esterno. Ho sempre aspettato che i miei genitori venissero nel mio mondo, quello udente. Ma un rapporto si sa è fatto da due persone e non potevo aspettare che si avvicinassero sempre loro. Questo concetto in realtà l’ho capito molto dopo, in quel momento non avevo ancora gli strumenti adatti.

Sono andato avanti così, per tutta l’adolescenza, e non sono riuscito mai a comunicare a pieno i miei bisogni, i miei momenti di rabbia ma anche di gioia e di felicità. Nonostante fossi il loro figlio, li vedevo anch’io come disabili, bisognosi di aiuto, forse come la società in maniera nascosta mi ha imposto di vederli. Ci sono cascato anch’io in questo “tranello”.

Ma quando, grazie alle riflessioni e soprattutto alla spinta ricevuta da una persona per me molto importante, che mi ha fatto notare un punto di vista nuovo, il quale pian piano stava nascendo in me, sono riuscito a vedere i miei genitori non come disabili ma come persone che usano un’altra lingua, la lingua dei segni.

Così si è aperta una nuova strada sul mio percorso di vita. Tre anni fa ho iniziato a studiare la lingua dei segni presso la scuola del “Gruppo Silis”. Ho scelto di partire dall’inizio perché nonostante conoscessi già qualche segno non sapevo dell’esistenza di una vera e propria grammatica. Soprattutto grazie al corso ho capito che cosa fosse quel segno che i miei genitori facessero per indicare un amico di famiglia. E’ il segno-nome. Ad ogni sordo, CODA, una semplice persona che inizia a studiare la lingua dei segni gli viene “regalato” un segno che lo identifica, in base ad una caratteristica fisica o atteggiamento. Così con meraviglia ho scoperto il segno-nome dei miei genitori all’età di 28 anni ed è stato fantastico. Un momento che mi ha avvicinato molto a loro.

Mi sono messo di fronte alle tante difficoltà che avevo accumulato fin da piccolo, legate all’espressione del mio mondo interiore, quello emotivo, e grazie alla grinta dei miei compagni di corso sono riuscito in questo.
Nel 2013 durante la rassegna cinematografica Cinedeaf, organizzata dall’Istituto Statale per Sordi di Roma, ho conosciuto Dario e da quel momento mi sono appassionato ai suoi spettacoli teatrali dove ho visto la lingua dei segni in tutta la sua espressione.

Proprio in quel momento mio cugino mi ha consigliato di intraprendere, anche per gioco, l’esperienza teatrale. Qualcosa che mi serviva per “salpare dal porto”. Ho iniziato così con la compagnia teatrale “Quattro Cambi”, diretta dal regista Francesco Proietti. E’ stata la mia prima sfida: mettermi davanti a delle persone e mostrare la mia capacità artistica.

Così passa qualche anno e arriva lo spettacolo “Volesse Freud”, una commedia ripresa dal film “Per tutta colpa di Freud”. Ho interpretato il personaggio di Fabio, un ragazzo sordo appassionato di libri che si innamora della bella libraia Marta. Anche questa è stata un’altra sfida: impersonare un sordo. Fino a quel momento ho sempre interpretato personaggi udenti e questo cambio di ruolo l’ho visto come un momento per mettermi a confronto con la mia parte sorda. Si può pensare che sia stato facile perché ho i genitori sordi ma non è andata proprio così. Le sensazioni che vengono dal mondo sordo in quel momento le ho potuto solo immaginare. Ho cercato ovviamente di dare il meglio ma comunque mi sono accorto di una mancanza: l’esperienza teatrale sorda.

Per questo quando Dario mi ha proposto di partecipare alla messa in scena del suo nuovo spettacolo “Luci del buio” ho accettato. Mi ha permesso di poter far uscire quello che ho dentro in un nuovo modo: attraverso il lato creativo della lingua dei segni.

Pian piano è diventata anche questa una nuova sfida. Me ne sono accorto dai pensieri, dai momenti di nervosismo, dalla sfiducia in me stesso. In più il pensiero di segnare davanti a un pubblico. Ma per fortuna sono supportato dall’associazione CODA Italia, di cui sono socio ordinario, che rappresenta un bellissimo gruppo di persone dove confrontarsi ed esserci l’un per l’altro. Forse un giorno riusciremo a portare in scena proprio la nostra vita da CODA, che credo sia uno spunto interessante per parlare di integrazione tra mondo sordo e udente, ma in generale proprio per raccontare il nostro vissuto.

Per questo credo che sia fondamentale che oggi la lingua dei segni italiana possa essere riconosciuta, perché questa lingua permette di esprimere liberamente e pienamente la propria persona, i suoi pensieri, le sue emozioni, ed è importante per me far conoscere questa mia esperienza da udente immerso in una cultura sorda a chiunque si voglia avvicinare o anche sia solo curioso.

Danilo Di Carlo

Locandina dello spettacolo "Luci del Buio"

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